Favorita dalla sua collocazione geografica, Verona aveva probabilmente già un suo nucleo reto-etrusco ed euganeo, ma le prime notizie certe risalgono al IV secolo a.C.

In epoca romana fu un centro politico e commerciale di prima grandezza, di cui oggi rimangono tracce fastose, dall’Arena al Teatro Romano, dall’Arco dei Gavi a Porta Borsari, dall’area archeologica di Porta Leoni a quella degli Scavi Scaligeri.

Quest’ultima zona, situata al centro della città, a due passi da piazza Erbe, è divenuta durante il Medioevo sede del potere politico e amministrativo, ed in essa si trovano armoniosamente accostate o fuse insieme le vestigia di epoche diverse: dai resti romani ai grandi palazzi del Sette-Ottocento, passando attraverso l’architettura medievale, quella fiorita sotto la signoria degli Scaligeri, quella rinascimentale.

Tratto interessante e meno conosciuto sono le antiche mura della città, delle quali si conservano ancora cospicue porzioni in ottimo stato; presenti in perimetri via via più estesi a seconda dell’epoca della costruzione, conferiscono un aspetto particolare alla città e ci permettono di ricostruirne la storia.

Se delle due cinte successive erette dai Romani rimane ben poco (solamente un breve tratto della prima lungo l’attuale via Diaz, e una parete delle “Mura di Galieno“, presso l’Arena), le mura comunali tra Castelvecchio e Ponte Aleardi, ricostruite dopo l’inondazione del 1239, sono ancora in ottimo stato.

Il perimetro fatto erigere dalla signoria scaligera, concluso nel gennaio 1325, che racchiudeva un’area di 450 ettari, fu sostanzialmente confermato dai Veneziani nel Cinquecento e così pure nell’Ottocento dagli Austriaci, che fecero di Verona una delle quattro città fortificate del quadrilatero.

Le porte monumentali, le mura (in ottimo stato di conservazione per ampi tratti) e le fortificazioni, alcune ancora oggi in buone condizioni, testimoniano dell’importanza strategica della città, ben difesa dalle aggressioni esterne.

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Arena

arena di verona

L’Arena di Verona

Tra i monumenti di Verona, spicca senza dubbio l’Arena. Simbolo della città, deve il suo nome al toponimo latino che indica la sabbia, che ne ricopriva la platea.

È il terzo anfiteatro romano per dimensioni (dopo il Colosseo e l’anfiteatro di Capua), giunto in buono stato conservativo fino ai giorni nostri.

I Romani lo costruirono nella prima metà del I sec. d.C., per ospitare gli spettacoli di cui erano particolarmente appassionati: i combattimenti fra gladiatori e le cacce agli animali feroci ed esotici.

Eretto all’esterno delle mura cittadine (per poterlo rendere più facilmente raggiungibile dalle zone limitrofe e per tenere fuori dall’abitato una possibile fonte di affollamento e violenze), l’edificio è stato costruito mantenendo l’orientamento dei suoi assi e dei sistemi di drenaggio delle acque rispetto al reticolo viario urbano dell’epoca romana.

L’Arena venne utilizzata per secoli come fonte di materiale edilizio di reimpiego, nella costruzione di successivi edifici cittadini: questa è la causa principale della sua attuale incompletezza.

A farne pesantemente le spese è stato l’anello di cinta esterno, già intaccato nel VI sec, poi distrutto dal terremoto del XII sec.

Tale anello era costituito da un triplo ordine di arcate sovrapposte, in stile architettonico tuscanico ed era fatto interamente di pietra calcarea della Valpolicella, bianca e rosata.

Lavorato a bugnato, l’altezza complessiva era di circa 31 metri.

Oggi, del rivestimento esterno rimane solo una piccola porzione, la cosiddetta “Ala”, di quattro campate.

Si conserva pressoché integro, invece, l’anello interno a due ordini di 72 arcate in pietra, che formano un’ellisse di circa 140X110 metri.

All’interno, dalla platea si alzano le gradinate con 44 serie di posti, raggiungibili dai 64 “vomitatoria” disposti su quattro piani (cui s’accedeva tramite un sistema complesso di scale).

La cavea e la platea sono state restaurate in epoca moderna.

Sotto il monumento sono state ritrovate tracce di un complesso sistema di impianti idraulici per mezzo dei quali si introduceva l’acqua per i giochi acquatici e si provvedeva alla pulizia dell’anfiteatro.

Della ricca decorazione scultorea di cui sicuramente era dotato l’edificio, rimane poco.

I reperti più importanti sono conservati al Museo Civico Archeologico.

L’Arena fu sempre utilizzata per manifestazioni spettacolari.

Dopo i giochi del periodo romano, nel Medioevo e fino a metà del XVIII sec. vi si tenevano giostre e tornei.

Dal 1913, l’Arena di Verona è diventata sede del più importante teatro lirico all’aperto del mondo, con la possibilità di offrire fino a 22.000 posti (in epoca romana si suppone si arrivasse a circa 30.000 posti).

L’enorme spazio del palcoscenico consente, durante il periodo estivo, l’allestimento di una stagione lirica caratterizzata anche da rappresentazioni grandiose, con particolare rilievo per le opere verdiane.

Fiore all’occhiello della lirica all’Arena sono i colossali allestimenti per l’Aida.

Piazza Bra

Il nome della piazza è dato dalla contrazione di Braida, toponimo derivato probabilmente dal tedesco “breit” (=largo).

Corrispondente all’invaso intorno all’Arena, dalla metà del XII sec. (momento in cui la zona fu compresa nella cinta muraria cittadina) vi si tenne un grande mercato di legname, fieno e bestiame, che nel 1633 venne trasformato in grande Fiera delle Merci, con più di 250 espositori dei prodotti più diversi.

Interrotta e ripresa in varie occasioni nel XVIII e XIX sec, nel 1897 la “Fiera dei cavalli” venne inaugurata nella nuova sede (primo nucleo dell’Ente Autonomo Fiere di Verona).

Piazza Bra incominciò a definirsi intorno alla prima metà del ‘500, quando Michele Sanmicheli costruì il Palazzo degli Honorii (Palazzo Guastaverza) e cominciò a delineare il profilo della zona.

Solo dopo la lastricazione del “Liston” (largo marciapiede in marmo rosa della Valpolicella, materiale che caratterizza, col suo colore, molte costruzioni di Verona), nel 1770 – 1782, Piazza Bra divenne il luogo di passeggio preferito dai cittadini.

Ancor oggi, dopo la sistemazione a giardino della parte centrale della piazza (1878), il lato più animato è proprio quello del “Liston”, dove si affacciano palazzi che risalgono al XVI-XVIII sec., sotto cui si aprono le vetrine di numerosi bar e ristoranti.

Sempre nella piazza si trovano i portoni della Bra, due arcate merlate, fatte costruire alla fine del XIV sec. da Gian Galeazzo Visconti a ridosso della Cittadella, di cui rimane la Torre Pentagona.

Accanto a Piazza Bra si trova il Museo Lapidario Maffeiano.

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Piazza delle Erbe

Piazza delle Erbe ricalca l’impianto dell’antico Foro Romano e per secoli è stata il centro della vita politica ed economica della città.

La zona centrale (il cosiddetto “toloneo”) è ancor oggi animata da un colorato mercato.

Tra le bancarelle con ombrelloni bianchi si ergono colonne e monumenti.

Provenendo da Corso Mazzini, si trovano:

  • La colonna del mercato (1401), sormontata da un’edicola gotica (nelle cui nicchie sono scolpite figure a soggetto religioso aggiunte nel 1930) e voluta da Gian Galeazzo Visconti per esporre le insegne della sua signoria, reca su gradini e pilastri misure commerciali veronesi;
  • La cinquecentesca berlina o capitello, baldacchino in marmo a pianta quadrata, sotto cui sedevano i podestà alla cerimonia d’insediamento;
  • La fontana di Madonna Verona (fatta erigere nel 1368 da Cansignorio) che presenta vasca e stelo ornati da teste in rilievo e figure simboliche (opera forse di Bonino da Campione) ed è sormontata dalla figura di Madonna Verona, statua romana del I sec. d.C. (le cui parti mancanti di testa e braccia furono fatte completare da Cansignorio al momento della realizzazione della fontana);
  • La colonna di San Marco del 1523, in marmo bianco, sulla cui sommità fu issato il leone simbolo della Repubblica di Venezia (distrutto dai francesi, l’attuale è del 1886)

La piazza è incorniciata da palazzi ed edifici che hanno segnato la storia di Verona.

Sempre provenendo da Corso Mazzini, all’angolo sud-est della piazza si può osservare una serie di edifici che conservano ancora le linee strutturali delle case-torri d’età comunale, residuo dell’antico ghetto.

Segue poi la Domus Mercatorum (Casa dei Mercanti) fatta costruire nel 1301 da Alberto I della Scala.

Il palazzo presenta un portico retto da colonne e pilastri, ampie bifore e merlatura; nell’800 una ristrutturazione ne alterò le originarie forme romaniche e l’edificio divenne sede della Camera di Commercio.

Seguono una serie di case rinascimentali su cui s’innalza la Torre del Gardello, merlata e in mattoni, fatta erigere da Cansignorio nel 1370 per collocarvi il più antico orologio a campana di Verona.

Di fianco alla Torre si trova Palazzo Maffei: imponente edificio del 1668 in forme tardo-barocche, è dotato di terrazza (in origine con giardino pensile) con balaustra ornata da 6 statue di divinità pagane (Ercole, Giove, Venere, Mercurio, Apollo e Minerva).

Alla destra della piazza si trovano le cinquecentesche Case dei Mazzanti (un tempo Domus Blandorum scaligera che, nel XIV, al pianoterra, ospitava botteghe e abitazioni private, mentre il piano superiore era adibito a granaio), unite da portico; le facciate sulla piazza e su Corso S. Anastasia sono state riccamente affrescate da Alberto Cavalli nella prima metà del ‘500.

L’ultimo tratto della piazza presenta il retro della Domus Nova e il prospetto laterale neoclassico del Palazzo del Comune (o della Ragione), in mezzo ai quali è appoggiato l’arco della Costa (così chiamato per la presenza, dalla metà del ‘700, di una costola di balena che pende dalla volta) da cui ci si immette in Piazza dei Signori.

Sulle due piazze svetta la Torre dei Lamberti (ingresso dal cortile del Palazzo del Comune).

Piazza dei Signori

verona statua di dante alighieri

Statua di Dante Alighieri

Originata dallo sviluppo dei palazzi in cui si decideva la vita politica e amministrativa, soprattutto del periodo scaligero, Piazza dei Signori è circondata da edifici monumentali collegati fra loro da portici e arcate, quasi a creare una specie di corte interna.

Al centro della piazza di trova il monumento a Dante (1865), statua di 3 metri in marmo bianco di Carrara, eretta in occasione delle celebrazioni del sesto centenario della nascita del poeta, che presso la corte di Cangrande trovò il suo primo rifugio dopo l’esilio da Firenze.

Entrando dall’arco della Costa, partendo dal lato destro della piazza, si possono osservare:

  • Il palazzo del Comune o della Ragione, costruito alla fine del XII sec. Fu sede del Comune, della Pretura e della Corte d’Assise (1875). Durante il dominio veneziano fu sede del Tribunale, delle carceri e del Collegio dei Notai, di uffici e depositi commerciali, del granaio pubblico e altro ancora. L’ala del palazzo su Piazza delle Erbe passò a proprietari privati che ne adibirono i vani ad abitazioni e attività commerciali. Varie sono state le manomissioni subite dall’edificio durante i secoli, fino al restauro e alla riqualificazione operati nell’800, con cui si tentò di recuperare le strutture originarie (intenzione non sempre riuscita; l’intervento operato da Giuseppe Barbieri sulla facciata su Piazza delle Erbe, cancellò definitivamente le tracce della muraglia in cotto e tufo). Il palazzo ha pianta quadrata e in origine presentava 4 torri angolari (ne restano solo due, delle altre sono presenti tracce nelle strutture interne del palazzo). La struttura romanica è ancora riconoscibile (facciata di cotto e tufo alternati, con trifore e coronamento ad archetti) nonostante la parziale copertura rinascimentale del 1524. All’interno è ben conservato il cortile del Mercato Vecchio, cinto da un portico su pilastri, sormontato da trifore romaniche, con paramento a bande rosse e bianche alternate. Sulla destra del cortile è appoggiata la scala della Ragione, gioiello tardogotico del XV sec.
  • Una delle torri superstiti del Palazzo del Comune è la Torre dei Lamberti, unica torre privata di Verona, eretta dalla famiglia dei Lamberti (di cui non si conosce praticamente nulla) nel 1172, in tufo e cotto. Nel 1448-64 vennero operati lavori di restauro e di ulteriore innalzamento della costruzione, che raggiunse gli attuali 84 metri. Alla fine del ‘700 le fu applicato un grande orologio. Nel 1295 vi furono collocate due campane: la Marangona suonava l’ora della fine del lavoro per gli artigiani e dava l’allarme in caso d’incendi, mentre il Rengo radunava il consiglio comunale richiamava i cittadini alle armi in caso di pericolo per la città. La Torre è accessibile dal cortile del Palazzo del Comune; dalla sommità (raggiungibile con le scale e con l’ascensore) si gode uno spettacolare panorama del centro storico cittadino.
  • Il Palazzo del Capitanio o del Tribunale (o ancora, di Cansignorio), residenza scaligera già dal XIII sec. e ricostruito da Cansignorio nella seconda metà del XIV sec.; la costruzione (nata, in realtà, su un complesso di edifici di epoche e con destinazioni d’uso diverse, di cui reca ancora le tracce) fu ristrutturata alla fine dell’800 per accogliere gli uffici giudiziari. Il palazzo presenta un massiccio torrione scaligero, un bel portale di Michele Sanmicheli, un cortile centrale del XV sec., chiuso e delimitato da una loggia a tre ordini con portico; da ricordare anche la porta dei Bombardieri, del XVII sec.
  • Il Palazzo del Governo o della Prefettura (o anche, di Cangrande) fu costruito all’inizio del XIV sec., ma venne più volte rimaneggiato; l’ultimo restauro del 1929-30 ha tentato di restituirgli (attraverso abbattimenti di parti di epoche diverse, il ripristino della merlatura e l’inserimento di elementi architettonici consoni) le strutture medievali, di cui rimanevano significativi esempi nel cortile. Anche questo palazzo è in realtà un complesso di diversi fabbricati, sviluppato intorno a una corte interna rettangolare, con loggia a due ordini con portico, edificata nel XIV sec. da Cansignorio; le pareti delle stanze della loggia erano completamente coperte dai dipinti di Jacopo Avanzi e Altichiero (i due massimi pittori veronesi del ‘300). Dei gruppi di affreschi dei due autori è stato trovato solo il Partimento di Medaglie dell’Altichiero, staccato nel 1967, restaurato e ora conservato presso il Museo degli Affreschi. Nel 1533 il podestà veneziano (che qui aveva la sua sede) commissionò a Michele Sanmicheli il portale dell’ingresso sulla Piazza, fatto a somiglianza dell’Arco dei Gavi. Centro fondamentale della cultura trecentesca a Verona, grazie al mecenatismo della famiglia della Scala, vi furono ospiti Dante e Giotto.
  • La Loggia del Consiglio (o Loggia di Fra’ Giocondo, per un’erronea attribuzione al celebre architetto veronese) fu eretta nel 1476-93 per volere dei maggiorenti del Comune di Verona, come sede delle riunioni del Consiglio cittadino (in realtà istituzione formale, perché il dominio veneziano impediva ogni forma reale d’autonomia). Nell’800 la Loggia fu provvisoriamente adibita a pinacoteca civica e, per adattarla meglio a tale funzione, subì pesanti rifacimenti nel 1820-38 e nel 1870-74 che alterarono gli interni (pavimenti, soffitti e decorazioni pittoriche vennero rifatti), mentre l’edificio veniva riempito di medaglioni e busti celebrativi di personaggi veronesi (la protomoteca, istituita nel 1810 e costituita da 110 immagini scolpite, ora conservate presso la Biblioteca Civica). La facciata è opera di artisti umanisti veronesi, mentre la decorazione pittorica che ne ricopriva l’intera superficie (quella attuale è frutto dell’intervento del 1870) è di maestri comacini. Presenta un portico a otto arcate a tutto sesto, mentre sul piano nobile si aprono quattro ampie bifore (frontoni e paraste scolpite). Sulla sommità del palazzo si trovano le statue di illustri personaggi della Verona romana (Catullo, Plinio, Emilio Macro, Vitruvio, e Cornelio Nepote), di Alberto da Milano. All’interno delle sale della Loggia sono conservati alcuni dipinti commissionati dal Consiglio nel XVI sec.; altre tele del ‘500 e ‘600 furono trasferite a Palazzo Barbieri o andarono distrutte. Della metà del ‘700 è invece il dipinto Pomponio Trionfatore di Giambettino Cignaroli. La Loggia del Consiglio attualmente è sede delle riunioni del Consiglio provinciale e di manifestazioni culturali. Sull’arco che unisce la Loggia alla Casa della Pietà (ricostruita nel 1490 su residenze di origine scaligera) si trova la statua di Girolamo Fracastoro (grande medico, poeta e astronomo veronese) scolpita nel 1559 da Danese Cattaneo.
  • La Domus Nova o Palazzo dei Giudici, chiude infine la piazza. Citata nei documenti già nella metà del XII sec., fu sede prima del podestà e dei Consigli minori, poi (dal XV sec.) abitazione dei giudici veneziani. Gran parte del palazzo crollò nel 1511, ma venne ricostruito solo più di un secolo dopo.

Scavi archeologici dei palazzi scaligeri

Verso la fine degli anni 70, il Comune di Verona iniziò i lavori di restauro del complesso del Palazzo del Capitanio, in Piazza dei Signori.

Gli scavi eseguiti in questa occasione hanno portato alla luce numerosi resti archeologici romani e medievali, ora lasciati in vista.

L’area interessata è costituita dalla zona del cortile del palazzo, di Via Dante e di una parte del Palazzo del Comune ed è una delle aree archeologiche urbane più estese del Nord Italia.

In età romana, la zona era occupata da case più volte ristrutturate, fino al V sec. d.C.

Nel secolo successivo le abitazioni vennero abbandonate, dopo un lungo periodo di decadenza urbana (come indicato dal progressivo impoverimento dei materiali edilizi utilizzato per le costruzioni successive al V sec.) e fino al X sec. l’area fu adibita ad orto.

Dall’XI sec. nella zona venne impiantato il cimitero della chiesa di S. Maria Antica, abbandonato alla fine del XII sec., quando sull’area ricominciano ad essere costruiti nuovi edifici.

Nel XIII sec. Alberto I della Scala si appropria di tutta l’area e vi comincia a edificare i palazzi della famiglia scaligera. Le tracce di queste differenti epoche sono state ritrovate durante le ricerche archeologiche.

L’ingresso agli Scavi è situato verso Piazza Viviani.

Scesa la scala, il visitatore segue un percorso che non presenta un preciso ordine cronologico: le varie testimonianze sono state lasciate nel luogo di ritrovamento, indipendentemente dall’epoca cui appartengono.

I primi reperti che s’incontrano sono due tombe che facevano parte del cimitero di S. Maria Antica, intorno alla quale si sono trovate diverse tombe di vari nuclei familiari, più volte riutilizzate.

Le due tombe lasciate in vista sono quelle più articolate; una presenta ancora la lastra calcarea di copertura.

In seguito si incontra il primo degli reperti dell’epoca romana: un mosaico pavimentale con motivi geometrici e animali, neri su sfondo bianco.

Percorsa una cantina appartenente al palazzo di Alberto I della Scala (fine XIII sec.), si accede alle fondamenta di una casa-torre quadrata, al centro delle quali si trovano i resti di un’aula del IV sec., la cui funzione non è nota.

Nell’abside dell’aula si trova una tomba longobarda per due individui, scavata nel VII sec., con alcuni oggetti di corredo.

Sul retro dell’aula, si trovano uno spazio lastricato ad essa contemporaneo e resti di altri edifici romani. Si raggiunge, quindi, una casa romana, il cui ambiente più grande, forse un triclinio (sala da pranzo), è pavimentato a mosaico a motivi geometrici neri su sfondo bianco.

Riattraversando l’aula, si arriva alla strada romana lastricata in calcare che corre sotto l’attuale Via Dante.

Essa è corredata da una fognatura a volta in mattoni, della metà del I sec. a.C. e ha mantenuto un ottimo stato conservativo.

Sotto l’ala orientale del Palazzo del Comune si possono osservare i resti di edifici pubblici romani inerenti il complesso del Foro Romano.

Fra essi, un podio di calcare del I sec. d.C. (funzione sconosciuta) e le fondamenta di un edificio dell’inizio del III sec.

Superate le cantine del palazzo soprastante si ritorna alla strada romana: appoggiato alla carreggiata si trova il lungo muro di facciata di case costruite a cavallo fra il V e il VI sec d.C., con elementi architettonici di reimpiego di costruzioni precedenti (lastre della stessa strada, colonne e capitelli).

La strada romana rimase in uso fino alla costruzione del Palazzo del Comune, alla fine del XII sec., anche se venne progressivamente interrata (su un muro sono presenti soglie a tre livelli diversi, a causa dell’adeguamento all’innalzamento della carreggiata).

Nell’ultima area di visita degli Scavi si trova un esempio di muratura a fasce alternate di tufo e ciottoli, tipica dell’architettura veronese del XII sec.

Nel 1996 il percorso archeologico è stato adibito dal Comune di Verona a spazio espositivo per iniziative di carattere fotografico.

È così diventato sede del Centro Internazionale di Fotografia degli Scavi Scaligeri, nato per contribuire alla divulgazione, allo studio e allo sviluppo dell’arte fotografica.

Castelvecchio

Maniero scaligero voluto da Cangrande II, Castelvecchio fu costruito nel 1354-57 su preesistenti fortificazioni.

Aveva funzione di residenza signorile, ma anche di presidio difensivo sia verso attacchi dalla città sia verso il ponte che consentiva il collegamento con la strada per il Tirolo.

Presenta due nuclei, divisi da un tratto delle mura duecentesche e sette torri perimetrali:

  • Il nucleo di destra racchiude il cortile maggiore, con la piazza d’armi
  • Il nucleo di sinistra era la vera e propria reggia scaligera, con cortile più stretto e doppia cinta muraria

Al centro, l’alta Torre del Mastio (1375), da cui si accede al Ponte Scaligero sull’Adige.

Dopo la caduta degli Scaligeri fu utilizzato come deposito d’armi dai veneziani e nel ‘700 ospitò l’Accademia Militare della Serenissima; in seguito, sotto il dominio francese e quello austriaco, venne utilizzato come caserma.

Nel 1923 fu avviato un radicale restauro che smantellò i caratteri militari del monumento, con l’inserimento di elementi architettonici tardogotici e rinascimentali di reimpiego e il ripristino delle merlature e delle coperture delle torri (eliminate in epoca napoleonica).

Nel 1928 diventò sede del Museo di Castelvecchio.

Nel 1943 ospitò l’assemblea che diede vita alla Repubblica di Salò e vi fu celebrato il processo che condannò a morte i gerarchi fascisti che avevano deposto Mussolini (fra cui il genero di questi, Galeazzo Ciano).

Danneggiato dai bombardamenti, rimase vuoto per una decina d’anni.

Nel 1957 l’arch. Carlo Scarpa e il direttore del Museo, Licisco Magagnato, avviarono una radicale opera di ristrutturazione e riallestimento museale.

I lavori, terminati nel 1964, riportarono alla luce l’antica Porta del Morbio che si apriva nella cinta muraria del XII sec.

Ponte scaligero

Di fronte al mastio di Castelvecchio si trova il Ponte Scaligero sull’Adige, attualmente adibito ad esclusivo camminamento pedonale.

Edificato nella seconda metà del XIV sec., la poderosa costruzione a 3 arcate disuguali è in cotto e presenta fortificazioni e merlature.

Fatto esplodere dai tedeschi in ritirata nell’ultima guerra, è stato ricostruito nel 1950, con le pietre e i mattoni originali, recuperati sul fondo del fiume.

Vi sono tracce di reimpiego di materiale edilizio d’epoca romana: una serie di capitelli corinzi murati nella prima pila verso Castelvecchio (visibili solo se il fiume è in secca, uno è stato estratto e posto sul camminamento) e un cippo funebre romano presso l’imbocco verso l’Arsenale (trovato nelle fondamenta durante la ricostruzione del ’45).

Arco dei Gavi

Sul lato destro di Castelvecchio, in una piccola area verde affacciata sull’Adige, si erge questa costruzione del I sec. d.C., dell’architetto romano Lucio Vitruvio Cerdone.

La firma dell’autore sull’Arco dei Gavi, fenomeno molto raro in età classica, è uno degli aspetti che hanno reso famoso l’arco che fu costruito per celebrare una delle famiglie più importanti della Verona romana, la gens Gavia.

In origine era posto sulla via Postumia, poco distante dall’attuale Torre dell’Orologio (la collocazione originaria è riconoscibile per la segnalazione, sul selciato, della posizione delle basi dei pilastri).

Nel Medioevo l’arco, compreso tra le mura scaligere e la Torre, fu usato come porta urbica.

Nel ‘500 vi furono addossate delle costruzioni e vi si insediarono alcune botteghe.

Nel 1805, durante l’occupazione napoleonica, i francesi ne decisero la demolizione, perché ritenevano l’arco d’intralcio al traffico (soprattutto militare).

Le pietre del monumento vennero prima spostate in Piazza Cittadella, poi vennero trasferite presso l’Arena.

Fu ricomposto nel 1932 con i blocchi originali.

In calcare bianco locale, presenta una struttura a quattro fronti, i cui due principali erano rivolti verso la via Postumia.

L’arco è ad unico fornice incorniciato da colonne corinzie (le cui basi sono decorate con bassorilievi vegetali) e da un timpano triangolare; il soffitto interno è a cassettoni e presenta una testa di Medusa.

Nelle nicchie sui frontoni principali si trovavano statue raffiguranti alcuni membri della famiglia dei Gavi, con relative iscrizioni (ora andate perdute).

Sotto l’arco è stato posto un tratto di strada romana, in basalto nero, che reca i segni del passaggio di carri.

Porta Borsari

Il nome Porta Borsari ha origine bassomedievale e deriva dai bursarii che qui, all’epoca, riscuotevano i dazi vescovili.

In epoca romana era chiamata Porta Iovia, nome che le veniva dalla presenza di un tempio dedicato a Giove, posto appena fuori della porta (i cui resti sono visibili nei giardini del Cimitero Monumentale).

Aperta probabilmente nel I sec. a.C. sulla via Postumia (che nel tratto urbano costituiva il decumano massimo) e rinnovata nel I sec. d.C., era l’ingresso principale della città e la sua funzione di rappresentanza era sottolineata da ricche decorazioni ornamentali.

Porta Borsari era un edificio con corte centrale e doppi passaggi nelle facciate.

Di tale costruzione resta solo la facciata esterna in calcare bianco locale, con due fornici inquadrati da edicole e sormontati da due ordini di finestre, sei delle quali incorniciate da fini decorazioni.

Sull’architrave sopra i fornici l’imperatore Gallieno fece incidere un’iscrizione che ricordasse la ricostruzione nel 265 d.C. della cinta muraria urbana (in realtà il suo fu un intervento di ripristino e ampliamento, non di ricostruzione).

Porta dei Leoni

Porta dei Leoni, posta sul cardo massimo della città romana, è chiamata con questo nome dal XV sec., per la presenza nelle vicinanze di un sarcofago romano in pietra con due leoni (ora posto dietro al monumento di Umberto I).

La porta era alta 13 metri (quanto le mura cittadine), aveva pianta quadrata e una corte interna, doppi fornici sulle facciate e gallerie nei piani superiori.

Gli angoli del fronte esterno erano fiancheggiati da due torri poligonali di raccordo alle mura.

Sulle torri e sulle gallerie si aprivano numerose finestre.

Nel I sec. a.C. venne costruita in tufo e mattoni; più tardi, nel I sec. d.C. alle facciate di mattoni vennero addossati prospetti in pietra bianca locale, che rispecchiavano le strutture architettoniche precedenti, ma presentavano decorazioni più ricche.

Ciò che rimane della Porta dei Leoni è murato in un palazzo del XIII sec. (più volte rimaneggiato).

Si tratta di metà della facciata interna della porta d’età repubblicana, con il successivo prospetto in pietra: un unico fornice inquadrato da un’edicola, sormontato da finestre centinate e riquadrate e, più in alto, da ciò che rimane di un’esedra (forse all’epoca adorna di statue) affiancata da colonnine tortili.

Sotto Via Leoni sono venuti alla luce altri resti del monumento: parte del muro laterale (con l’attacco alle mura cittadine), frammenti della pavimentazione della corte interna e i basamenti delle grandi torri (uno lasciato a cielo aperto, l’altro conservato nelle cantine di un edificio nei pressi).

Arche scaligere

Presso la chiesa di S. Maria Antica, in una piazzola quasi appendice di Piazza dei Signori, si possono ammirare le tombe monumentali degli Scaligeri, insigni monumenti dell’arte gotica.

In uno splendido recinto di ferro battuto, con ricche decorazioni su cui spicca il motivo della scala (simbolo dei signori) sono racchiusi diversi sarcofagi posti a terra o su mensole (il primo ad essere sepolto qui sembra sia stato Mastino I nel 1277), ma soprattutto le tre monumentali tombe marmoree a baldacchino di Cangrande I, di Mastino II e di Cansignorio.

Alle tre arche maggiori, sormontate da cuspidi, recanti la statua equestre del defunto e circondate da numerosi elementi decorativi, hanno lavorato numerosi artisti, soprattutto lapidici veneti, lombardi e toscani.

L’arca di Cangrande I, pensile, posta sopra il portale della chiesa, è la prima delle tombe monumentali ad essere costruita, opera del Maestro di S. Anastasia.

Il sarcofago è sostenuto da cani che recano gli stemmi scaligeri ed è protetto da un tabernacolo gotico; sul coperchio vi si trova la statua distesa di Cangrande I, mentre sulle facce si possono osservare degli altorilievi di soggetto religioso e dei bassorilievi che narrano le gesta militare del signore.

Sulla sommità del baldacchino è collocata la statua equestre di Cangrande I, copia dell’originale più volte restaurato e ora conservato al Museo di Castelvecchio insieme al corredo funerario, recuperato quando l’arca è stata aperta nel 1921.

L’arca di Mastino II, iniziata nel 1345, prima della morte del committente, era originariamente dipinta e dorata.

È cinta da una cancellata ai cui angoli si trovano quattro statue delle Virtù.

Le facce dell’urna presentano decorazioni scultoree con motivi religiosi e, sul coperchio, la statua di Mastino II distesa, vegliata da angeli.

Il ricco baldacchino ad archi trilobati, presenta sul frontone preziosi altorilievi con scene di storia sacra. Sulla cuspide la statua equestre di Mastino II, completamente chiusa nell’armatura e in rigida posizione di comando.

L’arca di Cansignorio (1375) è la più ricca di decorazioni, forse fin troppo elaborata.

Concepita su disegno di Bonino da Campione, le sculture sono state realizzate da questo artista e da altre maestranze campionesi e locali.

A base esagonale, è cinta da una cancellata adorna di 6 statue di santi guerrieri; 6 colonne reggono il piano di marmo rosso su cui è appoggiato il sarcofago decorato con bassorilievi con storie tratte dai Vangeli (alcune di queste decorazioni recano tracce di originarie colorazioni).

Anche il baldacchino ad archi polilobati si alza su 6 colonnine tortili, riccamente decorate. Nei timpani sono scolpite statue raffiguranti le Virtù; tra i timpani, in piccoli tabernacoli laterali, sono collocate statue di angeli che reggono lo scudo degli Scaligeri.

La cuspide esagonale termina con un plinto con sculture di Apostoli, sopra cui si innalza la grande statua equestre di Cansignorio.

Tra le altre sepolture scaligere presenti nell’area, sono da ricordare il sarcofago di Alberto I (1301), riccamente scolpito e l’arca pensile di Giovanni della Scala (1359), opera di Andriolo de’ Santi precedentemente posta presso la chiesa di S. Fermo Maggiore.

Visitabili esternamente tutto l’anno.

Da giugno a settembre è possibile visitare l’area interna al recinto, acquistando, presso la Torre dei Lamberti, un biglietto cumulabile per l’ingresso sia alle Arche che alla Torre

Il più famoso tra i monumenti di Verona: la Casa di Giulietta

L’edificio, risalente al XIII sec., fu a lungo proprietà della famiglia Cappello, il cui stemma è scolpito sull’arco interno del cortile.

L’identificazione dei Cappello con i Capuleti ha dato origine alla convinzione che lì sorgesse la casa di Giulietta, eroina della tragedia di Shakespeare (in realtà mai esistita).

L’aspetto attuale dell’edificio deriva dal radicale restauro operato all’inizio del XX sec., tesi a costruire l’immagine di una dimora medievale ideale (di quella originale, soprattutto degli interni, non era rimasto quasi nulla).

L’edificio presenta una bella facciata interna in mattoni a vista, un portale in stile gotico, finestre trilobate, una balaustra che mette in comunicazione dall’esterno i vari corpi della casa e, ovviamente, il famoso balcone.

All’interno sono esposti arredi del XVI-XVII sec., affreschi relativi alle vicende di Romeo e Giulietta e ceramiche rinascimentali veronesi.

Le sale dell’ultimo piano sono coperte da un soffitto ligneo trilobato, con cassettoni dipinti d’azzurro e stelle dorate.

Nel cortile è collocata la statua in bronzo di Giulietta, di Nereo Costantini.

Ponte di pietra

Il Ponte di Pietra fu costruito a cavallo dell’Adige dove fin dalla preistoria esisteva un guado tra il colle di S. Pietro e la pianura.

La mancanza dell’allineamento con il reticolo viario urbano romano ha fatto pensare ad una realizzazione del Ponte di Pietra precedente all’89 a.C.

Nei secoli ha subito numerosi crolli, ricostruzioni e restauri.

Gli interventi più importanti furono:

  • Quello del II sec. d.C. che portò all’inserimento di blocchi di marmo;
  • Quello del 1298 che lo dotò delle torri in testa al ponte (una distrutta nel 1801);
  • Quello del 1520 di fra’ Giocondo;
  • Quello del 1957-59, quando il ponte venne completamente ricostruito per anastilosi perché i tedeschi in ritirata, nel 1945, l’avevano fatto esplodere.

I blocchi di pietra e i mattoni, proiettati nel letto del fiume dall’esplosione, furono recuperati, ordinati e numerati, consentendone il reimpiego nella ricostruzione.

Il ponte attuale è a 5 arcate.

Le prime due a sinistra sono romane, in grossi blocchi di calcare bianco locale; nella pila fra le due arcate è visibile una delle finestrelle (in origine, una su ogni pila) che assicuravano un efficace sfogo alla corrente del fiume in piena.

Nell’arco della seconda arcata è visibile una figura scultorea maschile del II o III sec. d.C.

L’arcata destra, con la rimanente torre di testa, risale al rifacimento in mattoni del 1298, voluto da Alberto I della Scala. Le due arcate al centro risalgono probabilmente alla ricostruzione del 1520.

Teatro Romano

Il complesso del Teatro Romano è costituito da edifici di epoche diverse, inseriti in un suggestivo ambiente naturale collinare.

In origine si estendeva, con terrazzamenti successivi, dalla riva dell’Adige alla sommità del colle ed era coronato da un tempio (non si è riusciti ad identificare la divinità alla quale era dedicato) i cui resti sono venuti alla luce nel 1851, quando gli austriaci cominciarono gli scavi per la ricostruzione di Castel S. Pietro.

Il Teatro Romano è rimasto sepolto per molti secoli.

Costruito all’inizio del I sec. d.C. (ma il perfetto allineamento con il reticolo urbano fa risalire la progettazione del complesso al I sec. a.C.), dal X sec., sulle sue rovine furono costruiti edifici religiosi e abitazioni che col tempo celarono completamente le strutture del Teatro.

Di questi edifici è rimasta, sull’ala orientale della cavea, la chiesa dei SS. Siro e Liberta che ha mantenuto parte della struttura originaria, pur subendo varie modifiche nel XIV-XVIII sec. (all’interno sono conservati dipinti del XIV sec. e il sepolcro di Giambettino Cignaroli).

Nel XVIII sec., uno scavo casuale portò alla luce frammenti di marmo, facendo rinascere l’interesse per il monumento.

Nel XIX sec. Andrea Monga (ricco commerciante veronese) acquistò l’intera area e intorno alla metà dell’800 vennero realizzati i primi scavi.

Nel 1904 il Comune di Verona entrò in possesso dell’area e proseguì i lavori di ristrutturazione fino al completamento negli anni 70.

Dal 1948 il Teatro Romano è sede dell’Estate Teatrale Veronese, stagione estiva di rappresentazioni teatrali (con una netta predominanza di opere shakespeariane e goldoniane), cui dal 1968 si è aggiunta anche la danza.

Dal 1985 è sede, sempre all’interno dell’Estate Teatrale Veronese, del festival Verona Jazz.

Il Teatro è costituito dai resti dell’edificio scenico, dell’orchestra, della cavea, di due ordini di gallerie e di 3 terrazze di raccordo con la sommità del colle.

L’edificio scenico (di cui oggi si conservano solo i muri portanti in tufo) in origine era alto quanto l’intera cavea ed era ornato da statue (ora conservate presso la portineria del Teatro) e da ricche decorazioni architettoniche.

Sul fronte scena si aprivano 3 porte e 2 parasceni d’accesso al palcoscenico (entrambi ancora conservati, quello orientale è utilizzato come ingresso del Teatro).

Sotto il palcoscenico si trovava la fossa scenica di cui sono visibile elementi quadrangolari in pietra, coi fori in cui scorrevano le corde che sollevavano e abbassavano il sipario.

Davanti al palcoscenico si trova il piano semicircolare dell’orchestra (nel teatro romano, spazio destinato ai seggi dei personaggi importanti della vita pubblica), con resti di pavimentazione in marmi colorati e disegni a motivi geometrici; in prossimità della cavea, è rimasto il fossato per il deflusso delle acque piovane (il Teatro era scoperto).

La cavea è in calcare bianco della Valpolicella.

Non era completamente appoggiata alla collina e quindi vennero costruiti dei muri radiali di sostegno, i cui resti sono ancora visibili.

La cavea era isolata dal pendio del colle, da una profonda intercapedine che la proteggeva dalle infiltrazioni d’acqua e dall’umidità (uno scorcio dell’intercapedine è visibile da una delle sale del Museo Archeologico).

Della cavea è stato ricostituito solo una parte del settore occidentale.

Sulla sommità delle gradinate si trovano l’ambulacro coperto e i resti di una sovrastante galleria. Le due gallerie sono coronate da una loggetta ad archetti.

Vi si accede attraverso una scalinata, su cui si può ammirare un arco ionico ornato da tori.

La loggetta è stata ricostruita nel 1912; gli archetti, che riportano incisi i nomi delle famiglie abbienti della Verona romana, probabilmente provengono dalla fronte della galleria sottostante.

Dalla loggia (con l’ascensore) si accede al Museo Archeologico.

Oltre alla cavea, il complesso monumentale è completato da tre terrazze in origine lunghe 124 metri (ora inaccessibili).

La prima grande terrazza, la più spaziosa, è in gran parte occupata dalle strutture dell’ex convento di S. Girolamo (sede del Museo) e conserva i resti di un ninfeo (finta grotta ornamentale) scavati nella parete di tufo all’estremità occidentale.

A lato del complesso teatrale sono visibili i resti dell’Odeon, raccordato al Teatro.

Costruito probabilmente insieme al complesso, in età romana era usato per spettacoli musicali e poetici; presentava la struttura tipica dei teatri romani, ma con dimensioni ridotte e spesso coperto.

Rimangono solo alcune tracce della facciata.

Giardino Giusti

Il Giardino Giusti fu costruito con un classico impianto a U (in facciata frammenti di decorazione pittorica).

Sul retro del cinquecentesco Palazzo Giusti si accede a un incantevole giardino, la cui parte più antica risulta concepita già nella seconda metà del XV sec.

Nel tempo, il giardino ha subito numerose trasformazioni, fino all’ultimo restauro del 1930 che ne ha ripristinato parte dell’assetto rinascimentale.

Aiuole, statue, scalinate e grotte artificiali sono disposte lungo il viale di cipressi che porta ai progressivi terrazzamenti.

Man mano che si sale il declivio, la sistemazione architettonica della vegetazione cede il passo ad un assetto più naturale di alberi e cespugli.

Di rilievo, all’interno del Giardino Giusti:

  • L’unica collezione epigrafica latina privata esistente ancora a Verona;
  • Un famoso labirinto di siepi di bosso, uno dei rari esempi in Veneto, disegnato nel 1786 su un precedente labirinto cinquecentesco;
  • Una bella statua femminile di Alessandro Vittoria, nella sezione occidentale del parterre;
  • Le serre per gli agrumi, addossate al tratto superstite delle mura comunali del XII sec. con statue di Bernardino Ridolfi (genero di Falconetto e stretto collaboratore del Palladio), cui si deve probabilmente anche il mascherone che sormonta il giardino;
  • La grotta artificiale scavata nel tufo, con arco d’ingresso incorniciato da colonne, trabeazione e timpano (che le danno l’aspetto di un tempietto), in origine rivestita di conchiglie, coralli, madreperle e mosaici e dotata di giochi d’acqua.

Dal belvedere si gode uno dei più bei panorami sulla città e si ha un bel colpo d’occhio sul giardino nella sua interezza.